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La cacciata di Calabresi, segno di un cambio di gestione dei Debenedetti. Sospesa l’ipotesi di una cessione del Gruppo Gedi a compratori esteri


I fratelli De Benedetti (Marco e Rodolfo) hanno messo alla porta il direttore di Repubblica con una modalità inusuale nel pur selvaggio mondo dell’editoria. Proverò a spiegarmi.

1. Premessa. I direttori di giornale hanno, per l’articolo 6 del contratto di lavoro, poteri assoluti all’interno di una redazione, modesta o gigante che sia. Con una sola falla: possono essere mandati a casa da un giorno all’altro, senza preavvisi e tutele sindacali. Calabresi riceve la notizia del suo licenziamento senza tanti balletti. Come si fa di solito. Prima in genere si chiama il direttore, gli si dice che è stato un grande ma che adesso è ora di cambiare. Se il padrone ha un consiglio di amministrazione lo convoca e indica la sua decisione. E allo stesso tempo propone la nomina del suo successore. Se non ha cda fa tutto per i cazzi suoi e il direttore se ne va.

2. Calabresi viene informato della decisione di licenziarlo. Che cosa si sono detti non lo sappiamo, le ragioni sono varie, ma non è questo che m’interessa. L’ormai ex direttore di Repubblica esce dall’ufficio di Marco De Benedetti e twitta all’istante: “Dopo tre anni finisce la mia direzione a Repubblica, lo hanno deciso gli editori”. Succede un po’ un casino, perché la notizia è sfugge di mano all’editore. Gedi cerca di far finta di niente (tant’è che la nota ufficiale arriva soltanto il giorno dopo), ma nel porco mondo dei social le notizie vanno come fulmini nella tempesta. E anche un blog delle balle (ma informato), pieno di refusi come questo, totalizza 3.651 lettori per quella sola e specifica notizia.

3. Calabresi parla di editori, quindi è evidente che la decisione è stata presa da Marco De Benedetti (presidente di Gedi) e dal fratello Rodolfo (presidente di Cir che controlla Gedi). Com’è ovvio che accada in questi casi cheek to cheek con l’ad Laura Cioli e con l’immancabile Monica Modardini, ad di Cir. Ma sono i tempi in cui è stata presa la decisione che sono interessanti. Direi, nè troppo lunghi, nè troppo brevi, come subito era sembrato. I Debenedetti hanno avuto il tempo di fare un giro di consultazioni con possibili direttori e poi hanno puntato tutto su Carlo Verdelli. E infine hanno fatto partire il siluro a Calabresi.

4. In tutto questo si sono dimostrati bravissimi, non è filtrata una goccia di notizia, zitti e compatti. Compreso Verdelli, che dovrebbe averlo saputo molto prima del giorno del calcio a Calabresi. E da quel che si sa non lo aveva intuito nemmeno lo stesso direttore. Anche se qualche idea, come tutto il mondo dei giornali sa, se l’era già fatta da almeno un anno.

5. Il cda di Gedi viene convocato (formalmente) il giorno dopo. Alle 11 del mattino esce una nota ufficiale del Gruppo che fa impallidire i comunicati stampa della vecchia Democrazia Cristiana. Un comunicato di 10 righe dove a ben guardare il benservito a Calabresi non è neppure mascherato.

6. John Elkann è il secondo azionista di Gedi. Ha avuto un ruolo in questo licenziamento? E’ stato consultato da Marco De Benedetti? O è stato del tutto ignorato? C’è sempre stata grande armonia, direi quasi amicizia, tra il presidente di Fca è Mario Calabresi. Già dai tempi in cui era direttore de La Stampa. E’ molto difficile che John Elkann non abbia tentato di far tornare sulle loro posizioni i De Benedetti. Sempre che qualcuno gli abbia anticipato la decisione, cosa sulla quale ci sono molti dubbi.

7. C’è infine da rilevare che le varie supposizioni di cessione del Gruppo a qualche editore-compratore estero, come si ipotizza da almeno due anni, con questa presa di posizione forte rientrano tutte. Con un ma. Potrebbe essere che il compito di Verdelli, definito l’Innovatore, sia proprio quello di risanare la corazzata Repubblica e poi tornare a mettere un carrozzone Gedi più appetibile sul mercato.

Fonte: Giorgio Levi

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Un Paragone che non regge. Il senatore M5S difende i tagli all’editoria. Ma quando dirigeva la Padania, che attingeva ai fondi statali, guadagnava 100 mila euro l’anno


Il senatore del M5S Gianluigi Paragone si scaglia contro il suo colleghi giornalisti che, secondo lui, formano una vera e propria casta. E difende la nuova normativa che prevede l’azzeramento dei fondi per l’editoria.

E’ un vero peccato però che Paragone dimentichi il suo passato, quando era direttore de La Padania, tra il 2005 e il 2006. La Padania era tra quei giornali che, ai fondi per l’editoria, ha attinto a piene mani dal 1997 fino al 2013. In tutto, ha incassato più di 61 milioni di euro. Un po’ di questa pioggia di soldi pubblici è finita nel portafoglio di Paragone il cui contratto prevedeva una paga annuale, secondo quanto scritto oggi qui da Lettera 43, pari a 117.236 euro annui lordi. Negli anni in cui è stato direttore Paragone, La Padania riceveva 4 milioni e 28 mila euro l’anno di contributi pubblici.

Quando nel 2013 il quotidiano chiuse i battenti, Matteo Salvini disse: “Si tratta anche dell’ennesimo bavaglio calato dal governo Renzi che riduce i contributi per l’editoria che esistevano da anni. Oltre che La Padania stanno chiudendo e chiuderanno centinaia di piccole testate locali e di settimanali storici e chi ci perde è solo il territorio e la libertà di informazione”.

Credits

Lettera 43

Ecco il testo completo dell’emendamento M5S che taglia i fondi all’editoria. Ora alla Commissione bilancio del Senato


L’atto che pone fine ai finanziamenti pubblici all’editoria è l’emendamento n. 1.2464 all’Atto Senato n. 981 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), a firma del capogruppo al Senato del M5S, Patuanelli, cofirmatari i colleghi Accoto, Gallicchio, Marco Pellegrini, Pirro, Presutto, Turco e Pesco.

Il testo è stato presentato in commissione Bilancio del Senato e propone la progressiva riduzione dei contributi diretti alle imprese editrici di quotidiani e periodici “fino alla loro abolizione” dal 1º gennaio 2022.

Per l’annualità 2019 l’importo complessivamente erogabile a ciascuna impresa editoriale sarà ridotto del 20% della differenza tra l’importo spettante e 500 mila euro”.

Per il 2020 “l’importo complessivamente erogabile a ciascuna impresa editoriale sarà ridotto del 50% della differenza tra l’importo spettante e 500 mila euro”.

Per il 2021 del 75% della differenza tra l’importo spettante e 500 mila euro.

L’emendamento del M5S, inoltre, stabilisce che, sempre a decorrere dal 1º gennaio 2020, sia abolita la legge 7 agosto 1990, n. 230 (contributi alle imprese radiofoniche private che abbiano svolto attività di informazione di interesse generale) e siano soppresse le parole: ”nonché alle imprese radiofoniche private che abbiano svolto attività di informazione di interesse generale ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 250” dell’articolo 1, comma 1247, della legge 27 dicembre 2006, n. 296.

Questo il testo completo dell’emendamento n. 1.2464.

Dopo il comma 471, inserire il seguente:
«471-bis. Nelle more di una revisione organica della normativa di settore, che tenga conto anche delle nuove modalità di fruizione dell’informazione da parte dei cittadini, i contributi diretti alle imprese editrici di quotidiani e periodici di cui al decreto legislativo 15 maggio 2017, n.70, sono progressivamente ridotti fino alla loro abolizione, secondo le seguenti previsioni:

1) a decorrere dal 1º gennaio 2020:
a) la legge 7 agosto 1990, n. 230 è abrogata;
b) all’articolo 1, comma 1247, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, le parole: ”nonché alle imprese radiofoniche private che abbiano svolto attività di informazione di interesse generale ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 250” sono soppresse;

2) il contributo diretto erogato a ciascuna impresa editrice di cui all’articolo 2 comma 1 lettera a), b) e c) del decreto legislativo 15 maggio 2017, n.70, in deroga a quanto stabilito all’articolo 8 decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70, è ridotto progressivamente nel seguente modo:
a) per l’annualità 2019 l’importo complessivamente erogabile a ciascuna impresa editoriale sarà ridotto del 20 per cento della differenza tra l’importo spettante e 500 mila euro;
b) per l’annualità 2020 l’importo complessivamente erogabile a ciascuna impresa editoriale sarà ridotto del 50 per cento della differenza tra l’importo spettante e 500 mila euro;
c) per l’annualità 2021 l’importo complessivamente erogabile a ciascuna impresa editoriale sarà ridotto del 75 per cento della differenza tra l’importo spettante e 500 mila euro;

3) a decorrere dal 1º gennaio 2022 gli articoli da l a 24 del decreto legislativo 15 maggio 2017, n.70 sono abrogati;

4) il contributo diretto erogato complessivamente alle imprese editrici di cui all’articolo 2 comma 1 lettera g) del decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70 (quotidiani e di periodici italiani editi e diffusi all’estero o editi in Italia e diffusi prevalentemente all’estero – ndr) in deroga a quanto stabilito dagli articoli 18 e 22 del decreto legislativo 15 maggio 2017, n.70, per gli anni 2019, 2020 e 2021 è pari a 1 milione di euro;

5) al fine di perseguire obiettivi di valorizzazione e diffusione della cultura e del pluralismo dell’informazione, dell’innovazione tecnologica e digitale e della libertà di stampa, con uno o più decreti della Presidenza del Consiglio dei Ministri sono individuate le modalità per il sostegno e la valorizzazione di progetti, da parte di soggetti sia pubblici che privati, finalizzati a diffondere la cultura della libera informazione plurale, della comunicazione partecipata e dal basso, dell’innovazione digitale e sociale, dell’uso dei media, nonché progetti volti a sostenere il settore della distribuzione editoriale anche avviando processi di innovazione digitale, a valere sul fondo per il pluralismo di cui all’art 1 della legge 26 ottobre 2016, n. 198».

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Uspi